Un matrimonio tra le macerie
No, non c’è stato Enzo Miccio e nessuna puntata televisiva è stata dedicata a questo matrimonio. Nessun wedding planner, nessun direttore artistico né alla cerimonia né al ricevimento. Nella chiesa greco-ortodossa di St. George, ad Homs, non c’erano archi di fiori o macchine d’epoca in sosta nel parcheggio, niente giochi di luce ad illuminarne le navate, nessun musicista d’eccezione. A dirla tutta, anche le pareti erano spoglie, mancava addirittura il tetto. I terroristi di Daesh, negli anni precedenti, non avevano risparmiato nulla nel quartiere cristiano di Hamidiyah, neanche la parrocchia: ne avevano dapprima bruciato le icone, proseguendo poi con i bombardamenti che ne avevano buttato giù il campanile, lasciandola semi-distrutta. Proprio in questo luogo, Fadi e Rana, allora ventottenni, nell’estate del 2015, si sono uniti in matrimonio. In Siria impazzava ancora furiosamente la guerra, quella stessa guerra che aveva costretto i futuri sposi a fuggire via da Homs, per rifugiarsi altrove. Quella guerra che ha cambiato le loro vite, facendogli perdere la casa e il lavoro, ma che li ha anche fatti incontrare. I due giovani erano entrambi cresciuti nello stesso quartiere senza incrociarsi mai, il forte senso di appartenenza alla loro terra li ha poi spinti a ritornare nella città natia per giurarsi amore eterno davanti a Dio e ai loro concittadini. Il 12 luglio 2015 hanno pronunciato il fatidico sì in una chiesa senza tetto e quando, dopo aver pronunciato le loro promesse, hanno alzato gli occhi al soffitto, la volta era il cielo di Siria. L’abito bianco di lei e il sorriso emozionato di lui, tra le macerie di una città distrutta, hanno regalato speranza a chi ancora crede e combatte per riportare la pace nella propria terra. Nel febbraio del 2016, quando siamo partiti per la nostra missione umanitaria in Siria, i nostri occhi hanno potuto fotografare le rovine di una città ferita, in un clima surreale solo una croce si stagliava sopra le macerie, le nostre orecchie hanno potuto ascoltare la storia di Fadi e Rana e del loro matrimonio, sinonimo di resistenza.
La stessa storia che abbiamo deciso di condividere con voi questa settimana. Alle volte si tende a dimenticare che i siriani hanno conosciuto la parola di Cristo prima di tanti occidentali, e che non solo hanno contribuito a tramandarne i contenuti ma anche ad elaborarli. Prima della guerra i cristiani rappresentavano il 10% della popolazione ma dal suo inizio dai 300mila ai 900mila cristiani sono stati costretti a lasciare il Paese[1]. La chiesa di St. George, oggi ricostruita, dona ai cristiani nel mondo un messaggio di concreta fiducia: “Se dovessi camminare in una valle oscura, non temerei alcun male, perché tu sei con me. Il tuo bastone e il tuo vincastro mi danno sicurezza. Davanti a me tu prepari una mensa sotto gli occhi dei miei nemici; cospargi di olio il mio capo. Il mio calice trabocca. Felicità e grazia mi saranno compagne tutti i giorni della mia vita, e abiterò nella casa del Signore per lunghissimi anni.”[2]. Padre Ibrahim Alsabagh, parroco latino di Aleppo, rivolgendosi ai profughi cristiani siriani, li esorta a tornare ad abitare nelle loro case. La Siria ha bisogno dei cristiani per risorgere.[3]
Di Federica Miceli
[1] Muratore, Andrea. Il difficile futuro dei cristiani: in Siria tra normalità e intolleranza. http://www.occhidellaguerra.it/cristiani-siria/. Occhi della guerra. 08/08/2018. Web. 27/11/2018.
[2] Salmo 22: 4-6.
[3] Rocchi, Daniele. Siria: padre Alsabagh (Aleppo), “le ferite si curano con la riconciliazione, la giustizia e il rispetto dei diritti umani”. https://www.agensir.it/mondo/2018/06/01/siria-padre-alsabagh-aleppo-le-ferite-si-curano-con-la-riconciliazione-la-giustizia-e-il-rispetto-dei-diritti-umani/. Agensir. 01/06/2018. Web. 27/11/2018.