Bambini di Betlemme, storie di un abbandono
Sono molte le storie che abbiamo avuto la possibilità di ascoltare nelle nostre missioni con Una Voce nel Silenzio. Storie a volte liete a volte meno, che ci hanno consentito molto spesso di comprendere la realtà di un territorio proprio attraverso coloro i quali ce le trasmettevano. Come per esempio quando in Palestina andammo a visitare la Crèche di Betlemme, una struttura all’interno della quale vengono assistiti bambini in difficoltà. I problemi nei territori occupati sono molti, specialmente se si è piccoli e molto spesso soli. In una zona di guerra non è infatti difficile rimanere orfani o vivere in condizioni di totale indigenza. Se ciò può essere debilitante per un adulto, figuratevi per chi è più debole ed indifeso. Le condizioni di estrema povertà di quelle zone portano anche a scelte orribili, come abbandonare un neonato fra i rifiuti per non dover provvedere alla sua sussistenza. Questi sono alcuni dei casi di cui si occupano in questa struttura. Coloro che rendono tutto ciò possibile sono le Figlie della Carità di San Vincenzo De’ Paoli, un ordine di suore nato in Francia nella seconda metà del Seicento per l’assistenza dei più poveri[1]. La loro presenza in terra Santa risale alla fine dell’Ottocento quando, insediatesi in Palestina, iniziarono la loro opera di carità, portando cure nei dispensari e nelle zone più remote di quelle terre. Nel 1895 fondarono l’ospedale della Santa Famiglia, fin dal principio furono molti gli orfani che vennero affidati alle cure dell’ordine, portando così alla fondazione de “La Crèche”. L’ospedale operò sino al 1982, quando si resero necessari interventi di restauro. Nonostante ciò la Crèche continuò la sua opera, anzi crebbe a dismisura e nel 1985 le Opere Ospedaliere Internazionali dell’Ordine di Malta fecero partire i lavori di restauro della struttura, affinché aprisse un reparto di maternità. I bambini nati dal 1990 sono più di 36.000[2]. Ad oggi la Crèche offre un servizio pedagogico a più di 100 bambini provenienti da tutti i territori palestinesi, infatti molto spesso l’aspetto più importante è proprio quello del recupero sociale e dell’educazione del bambino. Il tutto non è però così semplice e, come racconta Maria Rosaria Mastinu, una delle quattro suore che dirigono la struttura, l’accesso ai territori è bloccato dai muri eretti da Israele. Gli accessi sono regolati dalle loro autorità ed i permessi per il passaggio da una zona all’altra non sempre vengono concessi, a volte servono anche sei mesi per ottenere una risposta. Questo comporta che molto spesso le donne partoriscano clandestinamente, mettendo a rischio la loro vita e quella del bambino. Considerando anche che coloro le quali si rivolgono a questa struttura sono quasi sempre donne rimaste incinta al di fuori del matrimonio o vittime di abusi in famiglia. Questo accade, purtroppo, nelle famiglie di fede musulmana in quanto, per evitare il disonore di rendere pubblico un incesto o un figlio nato al di fuori del matrimonio, le donne vengono escluse dalla famiglia e a questo punto ci sono due strade: o riescono a scappare oppure vengono uccise. Inoltre i bambini che portano in grembo, una volta partoriti, vengono abbandonati perché la religione islamica non prevede l’adozione. Non di rado le autorità di “La Crèche” non riescono ad intervenire tempestivamente e purtroppo i bambini vengono trovati prima dai cani randagi. Pensando a queste storie un paragone nasce spontaneo: chi fu il bambino nato a Betlemme, fra mille difficoltà e peripezie? Gesù. Infatti, a la Crèche, che in francese significa letteralmente “mangiatoia”, ogni giorno Cristo nasce per questi bambini. La struttura li assiste sino ai sei anni, dopo di che vengono trasferiti in appositi villaggi detti Sos, dove i ragazzi possono vivere sino ai diciotto anni e nel mentre vengono aiutati a coltivarsi, studiando ed imparando una professione.
Purtroppo però i loro guai non finiscono qui, la domanda che sorge spontanea è: come si può dare un’identità ad un orfano? Considerando, tra l’altro, che le autorità competenti sono quelle israeliane che non riconoscono la Palestina come stato, figuriamoci i suoi figli. Le autorità palestinesi hanno le mani legate in quanto non essendoci nemmeno documenti di nascita non possono passare le pratiche alle autorità israeliane. Questi ragazzi quando compiranno 18 anni saranno delle persone senza nome, senza lavoro e senza famiglia.
Questo porta alla nascita di individui fantasma, senza documenti non possono fare nulla, nemmeno passare da un territorio all’altro, creando così questo circolo vizioso di disperazione e sofferenza. Fortunatamente sono molti i volontari che da tutto il mondo accorrono in aiuto della Créche. Medici, insegnanti o anche semplicemente persone che si mettono a disposizione per aiutare questi bambini a non sentirsi soli, perché poi è questo il principale problema a livello psicologico, l’abbandono, il sentirsi rifiutati dal mondo, problema decisamente di tutto il popolo palestinese. Le donazioni economiche non mancano, ma tanto è ambizioso il progetto, tanto occorre per mantenerlo. Volendo, durante il proprio viaggio in terra Santa, è possibile pernottare nella St. Vincent Guest House[3], hotel creato appositamente per i pellegrini, il cui ricavato viene totalmente utilizzato per finanziare le attività di “La Crèche”. Le opere di carità impegnate in progetti rivolti all’infanzia non sono poche, ma ovviamente non sempre sufficienti. Anche Una Voce nel Silenzio porta avanti la sua opera in questa direzione, infatti con il progetto di sostegno a distanza consentiamo ai bambini di Gerusalemme e di Betlemme di studiare e di aiutare la propria nazione a crescere[4]. La cultura è potere e ci consente di essere liberi.
Di Emanuele Niccolini
26 novembre 2018