Ghar wapsi: quando “tornare a casa” per i cristiani in India è un obbligo
Le origini del cristianesimo in India sono legate ai primi insediamenti cristiani che sorsero nello Stato del Kerala in seguito all’arrivo dell’Apostolo San Tommaso, nel 52 d.C, mentre nel resto del continente è stato introdotto tramite l’attività dei missionari occidentali. La Chiesa cattolica in India è formata oggi dalla Chiesa di rito latino, dalla Chiesa syro-malabar e dalla Chiesa syro-malankar. Il cristianesimo è la terza religione maggiormente professata, all’incirca il 2,5% della popolazione totale. Nonostante l’India sia un paese con una grande cultura globale sotto aspetti economici, finanziari, telematici, non ha libertà religiosa. La conversione alla religione cristiana non solo è ostacola da innumerevoli repressioni, ma dalla stessa legge. In ben sei stati in India vige una legge che porta all’arresto per conversione al cristianesimo, se il cristiano è stato sedotto; dove per seduzione si intende anche solo la lettura di un passaggio della Bibbia.[1]
L’anno peggiore per i cristiani indiani è stato sicuramente il 2017, dove sono stati registrati 317 episodi di violenza contro i fedeli, senza contare molti altri non denunciati. Questi episodi, portati a termine principalmente da attivisti indù, spesso hanno l’appoggio delle forze dell’ordine, che evitano gli interventi o ne fanno da supporto.
Le persecuzioni oltre alle violenze fisiche riguardano anche la parte sociale, in quanto chi è cristiano o chi si converte alla religione cristiana, viene emarginato, resta spesso senza lavoro e rischia danni oltre che verso se stesso anche verso la propria proprietà.
Ciò che gli attivisti Indù combattono principalmente della religione cristiana è il fatto che ponga tutti gli uomini sullo stesso piano davanti a Dio, ed è proprio ciò che porta a convertire molti induisti al cristianesimo, quelli più poveri e senza difese, ma questo contrasta enormemente con il sistema delle caste che vige nello stato Indù e che gli attivisti vogliono mantenere inalterato, cercando di sviluppare l’idea che l’identità indiana coincida con quella induista. Contro queste conversioni gli attivisti Indù svolgono un programma, chiamato “Ghar Wapsi”, che letteralmente significa “tornare a casa”, che prevede una serie di attività religiose svolte da organizzazioni indiane che puntano alla conversione all’induismo di più fedeli possibili. Un esempio lampante fu quello che successe nel 2016 nello stato di Orissa, 21 famiglie composte da 76 membri della comunità cristiana sono stati riconvertiti forzatamente all’induismo. In questo Stato dell’India ci sono state molte azioni che hanno preso di mira i cristiani bruciando le loro case e provocando varie vittime.[2] Un tornare a casa verso una casa non propria, un obbligo che molto spesso i cristiani nel mondo si trovano ad affrontare, un obbligo di conversione verso qualcosa a cui non si sente di appartenere, e a cui molto spesso molti preferiscono la morte.
[1] https://www.ilsussidiario.net/news/esteri/2017/8/24/cristiani-perseguitati-india-la-fede-di-chi-non-ha-niente-e-rischia-la-galera/779324/
[2] https://www.porteaperteitalia.org/india-cristiani-forzati-a-riconvertirsi-allinduismo/