Elezioni Armenia, Pashinyan vince e in Artsakh montano le proteste
Le elezioni parlamentari svoltesi domenica scorsa in Armenia hanno visto la vittoria netta del premier uscente Nikol Pashinyan. Le votazioni, anticipate di due anni e mezzo rispetto alla fine della legislatura, erano state indette dallo stesso Pashinyan a seguito delle proteste antigovernative – sia popolari che dello Stato Maggiore dell’Esercito – nate dopo la firma del cessate il fuoco con l’Azerbaigian per il conflitto in Nagorno Karabakh. Alle elezioni armene, a cui hanno preso parte meno della metà degli aventi diritto al voto (49.4%, poco più di un milione e 281mila cittadini), Pashinyan col suo Partito del Contratto Civile ha ottenuto il 53.92% delle preferenze, staccando largamente il principale avversario, l’ex presidente della Repubblica Armena e dell’Artsakh, Robert Kocharyan (alleanza “Armenia”), votato dal 21% degli elettori. Un epilogo che ha destato sorpresa nell’opinione pubblica, che aveva invece previsto un confronto testa a testa tra i due candidati principali. Le reazioni ai risultati elettorali sono state molteplici: dai brogli denunciati dal partito di Kocharyan (con possibile ricorso alla Corte Costituzionale) ai complimenti indirizzati a Pashinyan da parte del presidente del Consiglio europeo Charles Michel, passando per le parole caute del ministro degli Esteri russo Sergej Lavrov: “Non è ancora chiaro come questi risultati influenzeranno la vita politica nelle nuove h condizioni. Aspettiamo che venga formato il governo. Noi partiamo dal fatto che l’accordo trilaterale che ha posto fine alla guerra, così come la seconda intesa che ha avviato il processo di accordo su forme specifiche di liberalizzazione di tutte le attività economiche, funzionino e incontrino gli interessi di tutte le parti coinvolte”. Ma spostandoci proprio in Artsakh, il messaggio del presidente Arayik Harutyunyan – che si è congratulato con Pashinyan – ha scatenato nei giorni seguenti proteste di piazza: come riportato dall’organo ufficiale dell’ARF (Federazione Rivoluzionaria Armena), movimento nazionalista che appoggia Kocharyan, migliaia di persone si sono riunite spontaneamente a Stepanakert per protestare contro il presidente dell’autoproclamata Repubblica chiedendone le dimissioni.
In attesa della formazione del nuovo governo, la premiership di Pashinyan è a oggi un’incognita: il suo consenso popolare, fortemente in calo dopo la firma sulla tregua in Nagorno Karabakh, è stato ribaltato da una vittoria elettorale schiacciante. Tuttavia, una cosa pare certa: lo scontro politico in Armenia è destinato a continuare con un’opposizione già sul piede di guerra. Sullo sfondo, un Paese investito da una difficile questione economica (nel 2020 perdita di oltre l’8% del Pil), la complicata gestione dei rapporti con l’Azerbaigian sull’Artsakh e, più in generale, un poco chiaro indirizzo geopolitico. Pashinyan, tendenzialmente favorevole a buoni rapporti con l’Europa e gli Stati Uniti, è stato invece meno aperto a riconoscere la grande influenza – economica, energetica e militare – della Russia in Armenia. Dove il futuro politico e non solo è più che mai in bilico.